Platform capitalism (capitalismo di piattaforma di intermediazione tecno- sociale)

Forma organizzata di estrazione intenzionale di valore dal paesaggio bioipermediatico (Griziotti, 2018), mediante lavoro vivo diffuso e spesso non retribuito; le sue policies diventano leggi internazionali di fatto. Tra di esse vanno collocati i filtri di personalizzazione, che rinchiudono gli utenti in bolle personalizzate.

Il valore nasce dalla appropriazione dei dati degli utenti e dei contenuti da loro prodotti operata dalle piattaforme digitali, connaturata alla logica gerarchica della relazione client-server contenuta nel modello 2.0 fondato sull’idea di prosumer, Viene così generato un surplus di informazione, di cui il capitalismo di piattaforma si appropria; non è un caso – per altro – che nel settore della socialità algocratica sia attiva il venture capitalism, e quindi la finanza, dal momento che in alcuni casi si mette in atto una scommessa sulla effettiva capacità di trasformare il dato diventato valore estratto in controvalore economico vero e proprio, in profitto monetizzabile e monetizzato.

Allo stesso modo, oltre alle aziende che sono nate come sistemi fin dall’inizio digitali, anche altre – di origine precedente – hanno messo in atto un processo di “piattaformizzazone”, ovvero di gestione e valorizzazione della datificazione e di standardizzazione interna ed esterna su base algoritmica.

JP Morgan definisce l’economia delle piattaforeme come “attività economica che coinvolge online intermediari che:

– forniscono un sistema di connessione tra lavoratori o venditori e clienti con orari flessibili;

– permettono il pagamento della singola prestazione lavorativa.

Tarnoff sostiene addirittura che

Chiamando i loro servizi “piattaforme”, aziende come Google possono proiettare un’aura di apertura e neutralità. Possono presentarsi come se stessero svolgendo un ruolo di supporto, semplicemente facilitando le interazioni degli altri. La loro sovranità sugli spazi della nostra vita digitale, e il loro ruolo attivo nell’ordinamento di tali spazi, è oscurata. Non è esagerato dire, quindi, che le piattaforme non esistono. La parola non è solo imprecisa; è un’illusione. È progettato per mistificare piuttosto che chiarire. In alternativa, consideriamo il seguente punto di partenza: la nostra esperienza di Internet è organizzata da un insieme di sistemi complessi che, nonostante le notevoli variazioni, condividono alcune caratteristiche comuni. Il modo migliore per comprendere questi sistemi è storicizzarli, più specificamente, collocarli all’interno della più ampia storia della privatizzazione di Internet. (B. Tarnoff, “Internet for the People: The Fight for Our Digital Future” – traduzione in proprio)

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